Fare psicoterapia nell’era postmoderna

psico4-150x1501Il postmodernismo rifiuta l’esistenza di una verità unica e oggettivabile, rigetta ogni pretesa di assolutismo e determinismo, invita ad apprezzare la complessità e la diversità del sapere umano. La sfida per la psichiatria del terzo millennio è sicuramente costituita dal superamento dei modelli riduzionistici. L’intervento psichiatrico può acquisire maggiore adeguatezza ed efficacia essenzialmente attraverso l’integrazione tra psichiatria, psicoterapia e riabilitazione. In questa logica, è fondamentale un continuo aggiornamento sui modelli teorici che hanno, peraltro, un’immediata ricaduta in ambito clinico, in generale, e psicoterapeutico, in particolare.

9 Novembre 1989: crolla il Muro di Berlino, simbolo della divisione tra Est e Ovest. Il Muro divise la città di Berlino per 28 lunghi anni: dal 13 agosto del 1961 fino al 9 novembre 1989, anno in cui la DDR decretò l’apertura delle frontiere con la BRD (NB:Speculare e contemporanea a Berlino, la storia  del muro di Gerusalemme. Proprio mentre cadeva il Muro, ne sorgevano altri, per dividere i territori palestinesi da quelli israeliani. È evidente che le ideologie e i totalitarismi continuano ad essere ben presenti e radicati tra gli esseri umani).
La caduta del muro diede inizio all’Autunno delle Nazioni, un’ondata rivoluzionaria avvenuta nell’Europa Centrale ed Orientale, quando i regimi comunisti furono rovesciati nel giro di pochi mesi. In quello stesso periodo si dichiarò la fine della guerra fredda. Il crollo del muro è diventato, per questa ragione, il simbolo della crisi delle ideologie e dei totalitarismi, sancendo il passaggio da una cultura moderna ad una cultura postmoderna.
Il pensiero postmoderno è un movimento eclettico, fortemente influenzato da fenomenologia, strutturalismo ed esistenzialismo, in particolare da Nietzsche, Heidegger e dal secondo Wittgenstein (teoria dei giochi linguistici). Tra i più influenti rappresentanti del postmodernismo ricordiamo: Michel Foucault, Jean-François Lyotard, e Jaques Derrida.
Foucault (opere: dal 1961 al 1984) si è avvicinato alla filosofia postmoderna da una prospettiva archeologica, ristoricizzando e destabilizzando le strutture filosofiche del pensiero occidentale. Si è occupato di formazioni discorsive, ossia di come si organizzano i discorsi intorno ai vari saperi (“archeologia del sapere”), in particolare: la sessualità, la follia e la criminalità. Le sue considerazioni più interessanti hanno riguardato la definizione e il cambiamento della conoscenza per opera dei meccanismi di potere e della biopolitica.
Gli scritti di Lyotard sono focalizzati sul ruolo delle narrazioni nella cultura umana e su come tale ruolo sia cambiato quando abbiamo lasciato la modernità e siamo entrati in una condizione postindustriale o postmoderna. Per Lyotard (1979) le filosofie contemporanee legittimano le loro affermazioni di verità non su basi logiche o empiriche, ma piuttosto su basi di storie accettate o metanarrazioni.
Derrida, padre del decostruzionismo, è uno dei maggiori critici della metafisica occidentale. Derrida (2008a; 2008b; 2009a) ha riformalizzato la cultura umana, definendola una rete disgiunta di segni e scritti che proliferano e agiscono, anche in assenza del loro autore.
Il passaggio dal pensiero moderno a quello postmoderno ha influenzato anche il modo in cui gli psicoterapeuti vedono i problemi psicologici ed il loro trattamento, mettendo in discussione le nozioni tradizionali della persona, della psiche, e perfino dei disturbi psicologici e del loro trattamento. Il concetto di Sé, per esempio, non è più considerato una realtà ontologica stabile e separata: l’individuo postmoderno ci appare come unconglomerato di Sé, un’entità sociologica modulata dal linguaggio (Guidano). Come direbbe Heidegger (1956): “sembra che la lingua parli noi, non meno di quanto noi parliamo la lingua”.
In contrapposizione alla visione oggettivistica degli esseri umani come scoperta di fatti e verità, il costruttivismo illustra i modi in cui gli esseri umani costruiscono le loro realtà personali a sociali (Keeney, 1983; Guidano, 1987; Gergen, 1992). Gli esseri umani sono quindi artefici dei loro mondi sociali e psicologici piuttosto che scopritori di “realtà” pre-esistenti (Gergen, 1994). Come indicato da Polkinghorne (1992), questa posizione, piuttosto che essere solipsistica, pone l’accento sui modelli interpretativi comuni a persone che condividono una storia sociale, culturale e persino familiare. Nella visione postmoderna del mondo le idee devono essere “utili”, non “vere”, ma soprattutto “non vanno mai sposate” (Cecchin, 1987; 1997; 2003).
Il pensiero postmoderno ha cambiato il paesaggio psicoterapeutico portando ad una reinterpretazione delle modalità psicoterapeutiche già esistenti e contribuendo allo sviluppo della prospettica narrativa (Epston e White, 1990) e ipertestuale (Giuliani e Nascimbene, 2009).
Ricoeur (1970), rileggendo in chiave postmoderna i contributi della teoria psicoanalitica, ne sottolinea il carattere prettamente ermeneutico: i contenuti di cui si occupa l’analista sono “sempre più rappresentativi, dalle fantasie alle opere d’arte alle convinzioni religiose”. Inoltre, sebbene Freud intendesse dare alla sua teoria un’impostazione strettamente scientifica, la teoria non può soddisfare gli stessi criteri logici di altre teorie delle scienze naturali. Più recentemente, Dorpat e Miller (1992) hanno reinterpretato il concetto psicoanalitico del transfert: esso è più di una semplice ripetizione di modalità interattive con le persone significative del passato (oggetti primari), poiché interessa, in modo ricorsivo, anche il rapporto attuale tra l’analista ed il paziente.
Adler stesso rifiutava la visione di una realtà stabile e conoscibile (Gergen, 1991), anticipando molti assunti del pensiero postmoderno: considerava, infatti, le costruzioni cognitive dell’essere umano delle “nozioni fittizie” che, nonostante tutto, andavano a formare la base del comportamento. Il terapeuta, nella prospettiva adleriana, non è un esperto onnisciente che può dare risposte a soluzioni, il Sé “creativo” del cliente è, in definitiva, influenzato dalle sue costruzioni ed aspettative personali e dal loro inserimento nei contesti familiari e culturali (Gergen, 1994).
Nell’ambito della psicoterapia cognitiva, il postmodernismo presenta, invece, una serie di sfide e criticità e non viene sostenuto da tutte le scuole. Gli approcci costruttivisti di matrice cognitivo-comportamentale, si distanziano dagli approcci tradizionali perché non si interessano al grado di adeguamento alla “realtà” delle cognizioni, ma alla loro storia e al loro valore funzionale in specifici contesti (Guidano, 1991). Uno dei compiti principali in queste psicoterapie è dare ai clienti l’opportunità di sperimentare nuove risposte, che pongano in discussione le strutture di conoscenza disfunzionali e offrano nuove modalità di problem solving, più adeguate al contesto attuale del cliente.
La terapia familiare è stata agevolata in questo mutamento di paradigma dai contributi della teoria dei sistemi. Mentre la tradizione cartesiana del modernismo tentava di analizzare le entità, esaminando le proprietà delle loro parti, chi pensa ai sistemi riconosce che le proprietà intrinseche delle cose non possono essere trovate nelle singole componenti (Capra, 1996). Poiché le parti si uniscono per formare un tutto, emergono nuove proprietà che non possono essere dedotte prima dalle caratteristiche note dei componenti singoli. Pertanto, il terapeuta della famiglia pone l’attenzione sulle relazioni ed i processi di feedback tra i membri che costituiscono la famiglia come un sistema complesso auto-organizzato, il disagio del singolo (paziente designato) diviene sintomo di un disagio relazionale. Molti terapisti della famiglia, tra i quali Boscolo e Cecchin (et al., 1987), sono stati influenzati dalla concettualizzazione costruttivista della realtà (seconda cibernetica). La Scuola di Milano (Milan Approach) considera il terapeuta “osservatore nel sistema osservato” e rinuncia ad ogni pretesa di oggettività: lo sguardo e le ipotesi del terapeuta sono sempre influenzati dalla sua storia, dalle sue premesse, dal fatto di essere, egli stesso, un co-costruttore di realtà e significati (von Foerster, 1987; Maturana e Varela, 1987).
I costruttivisti sociali vedono la realtà quale esito di un processo socialmente negoziato, in cui le pratiche linguistiche costituiscono le “regole”, secondo le quali arriviamo alla comprensione del mondo. Pertanto, la narrativa e l’ermeneutica assumono un ruolo centrale nella comprensione delle convinzioni e delle idee socialmente costruite e mantenute dal sistema familiare. Queste tecniche propongono un’enfasi sulla prevalenza dell’esperienza personale, un’attenzione particolare sul processo di creazione del significato attraverso il linguaggio, a un dedicarsi alla messa in opera del comportamento, come mezzi per la ricostruzione dei problemi.
Uno dei più importanti sviluppi postmoderni della psicoterapia dell’ultimo decennio è stato l’emergere della prospettiva narrativa (Epston e White, 1990; White, 1992). I terapisti narrativi tendono a concettualizzare le difficoltà dei clienti come derivanti dalla creazione di storie personali che sono contraddittorie o poco funzionali alle loro esperienze di vita. La terapia consiste nell’aiutare i clienti a distanziarsi dai loro problemi (processo di esternazione) e a vedere le loro difficoltà come costruzioni aperte alla rinegoziazione ed al cambiamento. Il linguaggio, infatti, è ritenuto essere creatore attivo di realtà piuttosto che semplice specchio di stati di cose esistenti: il gioco di parole umano può condurre a nuovi livelli di significato, che trascendono le loro funzioni originarie di denotazione.
Quasi quarant’anni fa, la psichiatria ha vissuto la sua primavera: che ne è stato? C’è il pericolo che si ritorni ad una concezione della follia come malattia incurabile, pericolosa e, perciò, da segregare? Si può pensare al postmodernismo come ad una nuova modalità di pensiero che offra maggior flessibilità alla psichiatria e ampli le possibilità di cura nel campo della salute mentale? Non è facile, e certamente poco rassicurante, dover abbandonare l’idea che esista una realtà oggettiva e oggettivabile. Non è facile, per un terapeuta essere utile al proprio paziente, senza pensare di essere determinante o istruttivo… dover rinunciare, insomma, alla propria hybris. Se si riesce ad elaborare questo lutto, però, si apre innanzi a noi un nuovo modo di esser-ci, contraddistinto dalla libertà di pensiero, dalla creatività e dal rispetto del sacro (Bateson, Bateson, 1987), che offre, a chi ha il potere e la responsabilità della cura, molte più possibilità di lavoro e di interazione con gli altri, in particolare con il mondo del disagio e della sofferenza.

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