Il bambino adottato

L’adozione è l’incontro tra una coppia che, generalmente, non riesce a procreare il figlio tanto desiderato e un bambino che, abbandonato o maltrattato non può vivere o continuare a vivere con i propri genitori. Vengono dichiarati in stato di adottabilità i minori che si trovano in stato di abbandono, perchè privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi. Questa situazione non deve avere carattere transitorio (art.8 legge 149/2001). La legge italiana (art 1 legge 149/2001) stabilisce infatti il diritto del minore alla propria famiglia. Gli Enti locali, nell’ambito delle proprie competenze e nel limite delle proprie risorse, sono tenuti ad intervenire con misure specifiche per rimuovere le cause economiche, personali e sociali che impediscono alla famiglia di risolvere i propri compiti.
Nei casi di rinuncia dichiarata ad esercitare la propria patria potestà o di morte dei familiari, risulta meno problematico per il giudice prendere atto dello stato di abbandono del minore e dichiararne l’adottabilità. Spesso, invece, si deve decidere di allontanare un bambino da un ambiente carente o cattivo, in questi casi molto è lasciato alla discrezionalità del magistrato, che si trova a dover scegliere tra varie alternative. L’allontanamento del bambino dal suo ambiente è un intervento estremo e spesso stigmatizzato dall’opinione pubblica che idealizza la sacralità dei legami di sangue e l’immagine della famiglia come luogo in cui tutto può e deve ssere ricomposto. L’interesse per il minore deve comunque essere prioritario rispetto a queste considerazioni, qualsiasi provvedimento si decida, esso deve rispettare e tutelare il suo diritto a crescere in una famiglia che lo accolga e lo tratti in tutto e per tutto come un figlio.
Il fanciullo abbandonato è quindi un bambino messo al bando, senza alcun riferimento parentale in grado di proteggerlo, contenerlo e prendersi cura di lui. Bowlby, in “Costruzione e rottura dei legami affettivi” (1982), attribuisce un significato estremanente patogeno alla perdita delle figure di attaccamento. Nell’infanzia, infatti, il bambini dispone solo di difese molto primitive, quali la scissione e la repressione, per fronteggiare tale evenienza, inoltre, fino alla metà del secondo anno, non è in grado di sviluppare l’eleborazione simbolica necessaria per dare un senso ai suio vissuti. L’autore propone diversi studi in cui la rottura dei legami affettivi nell’infanzia è correlata a sucessive sindromi psichiatriche quali la sociopatia e la depressione e a sintomi come la delinquenza e il tentato suicidio.
L’adozione si configura come il passaggio da una vita ad un’altra
. L’incontro con la nuova famiglia rappresenta, quindi un fattore protettivo rispetto ai pericoli sopracitati. L’incontro con la nuova famiglia è spesso caratterizzato da un idillio iniziale, si tratta di una sorta di luna di miele, un momento di simbiosi necessario ad entrambe le parti e che contraddistingue i legami affettivi più importanti. Questa fase regressiva è un passaggio obbligato per consolidare la relazione e stabilire la fiducia di base necessaria al successivo sviluppo del soggetto. Un vissuto di sicurezza è infatti la condizione fondamentale per permettere al bambino di individuarsi e separarsi dai genitori. Questo secondo momento è molto critico, perché tutto il passato, che sembrava essere dimenticato, riaffiora. Un ricordo degli eventi precedenti l’adozione è infatti sempre presente, anche nei casi di minori adottati piccolissimi, si tratta però di una memoria emozionale, che parla un linguaggio arcaico e preverbale.
Per questa ragione molti autori si sono interrogati se questi soggetti, a causa dei loro vissuti traumatici, fossero effettivamente una popolazione a rischio clinico. C’è chi afferma che gli adottati siano più vulnerabili della popolazione generale per quanto concerne i problemi di identità e che tali problemi si manifestino particolarmente nella tarda adolescenza  e nella giovinezza. Altri sottolineano la frequenza di persona depresse e dal comportamento ribelle e individuano, in entrambi i casi, un vissuto dell’adozione come qualcosa di doloroso, vergognoso, segreto.
Le difficoltà a ricordare il proprio passato sono abbastanza diffuse tra questi soggetti e provocano un senso di confusione e frammentarietà che si ripercuote anche nelle rappresentazioni dello spazio e del tempo, parametri fondamentali per la coscienza di sé in quanto “esseri nel mondo”. Questo incide non solo sul senso di identità, ma anche sulle capacità cognitive: si ipotizza infatti che le difficoltà di apprendimento e di attenzione, nei bambini adottati, siano dovute principalmente al conflitto circa il non volere-potere ricordare la storia della propria vita.
Le proprie radici possono essere ritrovate se, accanto al bambino, c’è la presenza di genitori contenitivi e rassicuranti. Tutti noi abbiamo dovuto elaborare la storia delle nostre origini e tutti noi abbiamo dovuto affrontare le angosce sottostanti. La capacità di accompagnare il bambino in adozione dipenderà anche dalla  capacità di capire a affrontare questi fantasmi.

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